martedì 27 giugno 2006

Ho passato la notte di Natale in carcere


La cella di reclusione del commissariato di polizia di Montecristi

Il 25 dicembre del 2005 l'ho passato dietro le sbarre, in galera. Una notte gelida dormendo sul pavimento sporco di escrementi umani in una cella del commissariato di polizia di Montecristi, qui, nella tropicale Repubblica Dominicana. Perché sono finito dentro proprio il giorno di Natale?

La storia è lunghissima, anche se era iniziata solo tre settimane prima. Era giá da diversi mesi che dicevo ai miei colleghi di Solidaridad Fronteriza, e soprattutto al suo direttore, che dovevamo fare qualcosa per le decine di ragazze, minorenni haitiane e dominicane, che si prostituivano nei bar di Dajabon e dintorni, e noi non avevamo mai fatto nulla in merito.

A dicembre mi ero preso un paio di giorni di riposo e uno di quei giorni è capitato che, in modo non proprio involontario, mi sono ritrovato a Montecristi, poco lontano da Dajabón, a salvare una di queste ragazzine haitiane dalle mani di un pappone (anche lui haitiano), che la stava ammazzando di botte davanti a oltre 50 persone totalmente indifferenti.



Nel tentativo di trovare il modo piú sicuro per portarla davanti alla giustizia, ho iniziato a darle protezione, decidendo di pagare di tasca mia ogni spesa: per colpa delle circostanze e dell'urgenza, tutto era iniziato come un'iniziativa personale e non potevo ancora coinvolgere ufficialmente Solidaridad Fronteriza. La ragazza era una minorenne haitiana, senza documenti legali per entrare in territorio dominicano: era a tutti gli effetti una vittima di "tratta di persona per sfruttamento sessuale", e non potevo semplicemente portarla alla polizia affinché denunciasse le percosse ricevute. Senza le dovute procedure, la polizia avrebbe arrestato sia lei che lo sfruttatore haitiano e li avrebbe rimpatriati entrambi dall'altra parte del confine con Haití, dove "non esiste la legge", lasciando libero il pappone di darle il ben servito una volta per tutte.


Avevo deciso di lottare affinché le autorità dominicane riconoscessero il suo caso e le dessero la protezione adeguata: sapevo che questo avrebbe significato un grande sforzo, soprattutto perché nemmeno le autorità preposte sapevano come gestire un caso simile. Avevo già chiamato tutte le persone più importanti che conoscevo: avvocati, procuratori, giudici, ma nessuno sapeva come trattare il caso di una "haitiana, minorenne e illegale". Per di più, qui degli haitiani non è che gliene freghi granché. Ma non pensavo nemmeno lontanamente che sarei finito in carcere...



Quando ho portato il caso a Dajabón, all'ufficio di Solidaridad Fronteriza, l'unica risposta che avevo ottenuto dal direttore era: "devi consegnare la ragazza al Consolato haitiano, e loro decideranno cosa farne". Io non ci potevo credere! Tutti sapevamo bene che il Consolato era (è!) corrotto fino all'osso e non alza un dito per quelli che hanno veramente bisogno. Per di piú, Solidaridad Fronteriza aveva iniziato da diversi mesi una campagna di sensibilizzazione proprio contro il traffico e la tratta di persone, e proprio adesso che ci trovavamo di fronte al primo caso reale, concreto, con una ragazzina di 15 anni costretta a prostituirsi e abbandonata da tutti, non potevamo tirarci indietro! Sorprendentemente, l'unica cosa che sapeva dire il direttore era di scaricarla al consolato haitiano ?!?!?

Mi sono opposto subito a questa scorciatoia e ho manifestato l'intenzione di portare avanti quella che lui aveva chiamato "una linea personale, non istituzionale". Secondo me dovevamo intervenire noi, che in teoria eravamo gli "specialisti" del tema in quanto stavamo ricevendo migliaia di dollari per fare una campaña di sensibilizzazione contro il fenomeno della tratta di persone. Per me era una questione di coerenza oltre che un'azione umanitaria.

Cosí ho deciso di bussare a tutte le porte possibili: parlando direttamente con il Procuratore generale della Repubblica (una specie di Ministro della giustizia qui in Dominicana); mandando rapporti dettagliati al Dipartimento di Traffico e Tratta di persone della Procura di Santo Domingo e a tutte le associazioni interessate al tema (compresa la OIM - Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che ha una casa di accoglienza per vittime di tratta).

Tutti hanno fatto orecchie da mercante e persino le suore Oblate, che di norma offrono aiuto a queste ragazze vittime di abusi, mi hanno chiesto chi avrebbe pagato il vitto e l'alloggio della casa. Insomma, tutti hanno lasciato su di me il peso di aiutare questa ragazza, a pochi giorni dal Natale. Ricordo ancora le parole di Juan Casilla Solis, il PM di Dajabón: "lascia stare Gianni, ascolta me, non ce la farai mai da solo. Mica ti puoi far carico di una ragazzina, non sei suo padre!". Oppure il commento che a distanza di qualche mese mi fece un'amica che lavora per un'altra grossa ong della capitale: quando chiamai per chiedere aiuto, il 22 di dicembre, le avevano detto di dirmi di sí, ma con le mani facevano dei gesti come per dire "tanto da domani siamo in ferie!".



Dopo mille telefonate, quando ormai sembrava che la Procura di Montecristi avesse intenzione di fare qualcosa, ho scoperto a mie spese il livello di connivenza esistente all'interno della giustizia dominicana. Qualcuno si era reso conto ben prima di me che, se la ragazza avesse rivelato tutti i dettagli della sua storia, alcuni pesci grossi sarebbero finiti nella rete.

Per esempio, sarebbe venuto fuori il fatto che la minorenne haitiana era arrivata in Repubblica Dominicana per lavorare come domestica nella casa di una persona molto influente di Montecristi, la quale aveva addirittura pagato 500 pesos perché il trafficante haitiano corrompesse i controlli militari alla frontiera per farla arrivare illegalmente da Haiti. Era un'azione da manuale della "Tratta di persona", punibile dai 15 ai 20 anni di prigione, secondo il nuovo codice penale dominicano.

Ma è proprio qui che entra in gioco l'amicizia tra questa persona importate e la Procura, con il fine di insabbiare tutta la vicenda: il giorno di Natale, alle 4 e mezzo del pomeriggio, la polizia ha fatto irruzione nell'albergo dove mantenevo nascosta la ragazza in attesa di presentarla finalmente davanti al giudice, il lunedì 26 di dicembre, e mi hanno arrestato con l'accusa di "sottrazione di minorenne", portandosi via la ragazza e sbattendo me in una cella puzzolente del commissariato locale.



Dopo averla interrogata e cercato invano di farle dichiarare che io l'avevo costretta ad avere relazioni sessuali con me, l'hanno rimpatriata ad Haiti, di notte, da sola, senza nessuno che la proteggesse, con il rischio che la trovasse il pappone haitiano (che nel frattempo era fuggito ad Haiti sapendo che stavo cercando di farlo mettere in prigione).

Dopo tutto quello che avevo fatto per evitarle il rimpatrio e garantirle un giusto processo, alla fine erano riusciti a sbatterla dall'altra parte del confine e metterla a tacere, mentre io venivo fatto passare come uno dei tanti italiani che fanno "gli ebeti" con le ragazzine.

Quella notte in prigione non sono riuscito a chiudere occhio: tra i mosquitos e le mille idee che mi passavano per la mente non riuscivo a pensare che ad una cosa, un'unica cosa... ero stato fregato! Ormai potevo contare solo su una piccola speranza: quel messaggio in segretería che ero riuscito a lasciare di nascosto ad un amico avvocato prima che la polizia mi requisisse il cellulare.

All'indomani mattina miracolosamente apparve l'amico avvocato, il dossier di 13 pagine che avevo spedito ai quattro venti e pure il direttore di Solidaridad Fronteriza, il cui aiuto (stavolta sì) è stato indispensabile per uscire dal carcere il giorno stesso. Le accuse per trattenermi agli arresti erano del tutto campate in aria ma le influenze si sono ancora fatte sentire: sono stato portato immediatamente davanti al GIP e mi è stato imposto il divieto di uscita dal territorio dominicano per 6 mesi, periodo nel quale il PM poteva raccogliere le prove sufficienti per presentarmi davanti al giudice di prima istanza.

Insomma: ero libero e non lo ero. Soprattutto, non ero più libero di battermi in favore della ragazza, perché ormai avevano trovato il modo di ricattarmi con lo spauracchio del carcere.


Una volta letta la sentenza, tutto quello che mi interessava sapere in quel momento era: dov'è la ragazza?
Ritornati in tutta fretta a Dajabón, abbiamo scoperto che aveva trovato rifugio nella casa di un tassista nella cittadina haitiana di Wanament. Era spaventata a morte: non sapeva dove si trovava e temeva che il pappone fosse già sulle sue tracce.

In quel momento bisognava trovare una casa piú sicura, ma non potevamo portarla a Dajabón perché non aveva documenti e non potevamo correre il rischio che "qualcuno di Montecristi" ci accusasse di introdurre "immigrati haitiani irregolari" in territorio dominicano. Il piano era stato ben studiato: con la ragazza ad Haiti non avremmo mai potuto portarla legalmente davanti ad un giudice dominicano per chiedere giustizia di quello che le era stato fatto. La vittima era stata resa inoffensiva, noi avevamo le mani legate e a Montecristi qualcuno rideva sotto i baffi.

Quando ci siamo resi conto di questo, il direttore di Solidaridad Fronteriza si è reso ancor meno disponibile ad appoggiare un caso che aveva rifiutato fin dall'inizio. Se l'unica soluzione era riuscire a farle avere un passaporto, di questo doveva incaricarsene l'ufficio haitiano della nostra ong. Ricorderò sempre le parole del direttore, Padre Regino Martinez Bretón: "se non se ne faranno carico loro, in Haiti, per me quella ragazza può anche andarsene a dormire sotto un ponte!".
Quanto è difficile essere "umani"...

A quel punto sono iniziati 6 lunghi mesi, in attesa che qualcosa succedesse.
Ad oggi, 27 giugno del 2006, M. (questa è l'iniziale del nome della ragazza haitiana) non ha ancora un passaporto, ma siamo riusciti a farla accogliere nella comunità delle suore colombiane della congregazione di San Giovanni Evangelista a Wanament.

Senza un padre e con una madre che non vuole farsi carico di lei, non è sempre facile farle capire che c'è qualcuno che le vuole bene veramente e che sta facendo di tutto per darle l'opportunità di costruirsi una vita.


[nella foto, il 19 marzo 2006 M. compie 16 anni. A sinistra Suor Nidia e a destra la collega Angelica Lòpez]

Altre volte non è poi cosí difficile capire quanto sia lei ad insegnare a noi che le stiamo vicini!

Per quanto riguarda me, oggi è finalmente scaduto il divieto di uscita dalla Repubblica Dominicana. Stamattina sono ritornato nella cella, ormai vuota, in cui ero stato rinchiuso il giorno di Natale del 2005.
Oggi ritrovo una libertà di cui però non credo vorrò approfittarne, almeno per un altro po' di tempo. Nonostante ci sia stata la decisione condivisa di terminare anticipatamente il contratto con Solidaridad Fronteriza, in questi mesi di "confino" mi sono reso conto di quanto ci sia ancora da fare su questa frontiera dominico-haitiana.

L'impulso che mi aveva spinto ad intervenire nel caso di M. era probabilmente dettato dalla frustrazione per quello che sentivo di non riuscire a fare dentro Solidaridad Fronteriza: fuori dalla logica dei "progetti di cooperazione", ho bisogno di immergermi nuovamente nelle questioni propriamente umane, di chi ha veramente bisogno di aiuto e non di chi vuole solo un rendiconto e una fatturazione a partita doppia.

E stavolta l'impulso mi dice di fermarmi e rimboccarmi le maniche.



martedì 13 giugno 2006

.::Ritorno al Batey

© giannidalmas
Niños nel batey di Boca de Mao

Dopo più di un anno, sono ritornato al Batey di Boca de Mao, uno di quei piccoli centri costruiti nel bel mezzo delle piantagioni agricole. Se la canna da zucchero si coltiva nel sud-est dell'isola, qui a farla da padrone sono le banane. E come sempre, chi lavora nei campi è haitiano, in gran maggioranza. E lo si vede dai bambini, che sono i primi ad accoglierti quando entri nel batey.

Ma questo non è un batey normale, nonostante i grandi sorrisi e gli occhioni enormi: lo scorso anno, a maggio, molti degli haitiani che vivevano in queste case di tavole e lamiera sono stati deportati massivamente dalle autoritá dominicane. Probabilmente il fatto più grave di tutto il 2005, un bel primato finito nel rapporto annuale di Amnesty International.
E proprio questo era il motivo della visita: due ricercatori di Amnesty, Gerardo e James, volevano conoscere direttamente alcune delle persone deportate illegalmente.

© giannidalmas© giannidalmas

"Gago", balbettando piú del solito, raccontó della paura che provó quando i militari dominicani avevano buttato giú la porta di casa sua, alle 5 di mattina. Gli spintoni, la fretta e tutti su sul camion dell'esercito, che lo aspettava giá carico di molta altra povera gente.
Filomena invece non può dimenticare due cose: il sentimento di impotenza di fronte alle carezze e agli apprezzamenti volgari di alcuni soldati e la vergogna che provò quando dovette attraversare il ponte sul Rio Massacre. Sporca, con due stracci addosso, di fronte agli sguardi e ai sorrisi beffardi di quelli che assistettero allo spettacolo del rimpatrio forzato verso Haití.

In quel venerdí 13 maggio, giorno di mercato a Dajabón, Filomena ricorda pure di aver ricevuto qualche battuta di scherno da parte di alcuni haitiani. Insomma, un giorno che vorrebbe poter dimenticare.

Io invece penso a quest'anno che è trascorso, alle persone che ho conosciuto e alla realtà che mi circonda. Miseria e voglia di tirare avanti; il giorno per giorno che fa a botte con la speranza di un futuro migliore.

Mi guardo intorno e non trovo risposte. A due passi gli uni dagli altri, si vedono dei dominicani scolarsi l’ennesima bottiglia di rum, mentre gli haitiani giocano a domino e chi perde si infligge delle colorate punizioni con le mollette del bucato.

© giannidalmas© giannidalmas

Dall’altra parte della strada, donne e bambini al lavoro, di domenica, alle prese con dei piselli. Anzi no, con tanti, tantissimi piselli: quando il catino sará colmo fino all’orlo potrà essere venduto a 10 pesos... Con quei soldi, penso, ci potranno comprare due bottigliette d’acqua (pulita), ma gli mancherebbero altri 5 pesos per comprarsi una Cola Real (l’alternativa dominicana alla Coca Cola).

Continuo a pensarci su, e mi rendo conto che sono fuori strada. Devo ritornare piú spesso in questi batey, per “imparare guardando” il sorriso di questi bambini.


© giannidalmas© giannidalmas

venerdì 2 giugno 2006

.::UN giorno normale


[se non avete l'ADSL, scaricate il video cliccando qui]

Un "normale" giorno di mercato sulla frontiera dominico-haitiana... il Rio Massacre, gli immigrati illegali, il riso di contrabbando e tanta vita!
Dopo un anno e mezzo su questa frontiera, il primissimo esperimento video, con un saluto speciale.

mercoledì 31 maggio 2006

.::Disconnessi dal mondo



No, non mi sto riferendo a quelli che, come me, vivono su questa frontiera!
"Disconnessi dal mondo" sono molti amici italiani e soprattutto la mia famiglia!

Sono già quasi 20 mesi che manco dall'Italia, e a mia madre piacerebbe potermi rivedere almeno in video-conferenza su internet, con skype. Purtroppo non puó, perchè a Fregona (nel trevigiano) la Telecom non offre il servizio ADSL. E pensare che qui, tra Haiti e Repubblica Dominicana, abbiamo la fibra ottica persino nel bagno.

Il perchè di questa incredibile mancanza, lo troviamo in una lettera pubblicata sul blog di Beppe Grillo... leggete per credere:

“Scrivo per segnalare l'ennesimo esempio di come in Italia il concetto di concorrenza e liberalizzazione dei servizi sia una mera utopia.
Abito in un piccolo comune della provincia di Ravenna, ed essendo un utente abituale del web ho fatto domanda per l'ADSL: risultato, il mio comune (come tanti altri), non è coperto dal servizio. In seguito alle numerose richieste di cittadini ed aziende private, l'amministrazione del comune si è attivata, promuovendo una raccolta firme da presentare alla Telecom, che ha "preso atto" delle firme stesse, rifiutando comunque la fornitura dell'ADSL senza altra spiegazione.


In seguito, grazie soprattutto all'interessamento di due ditte operanti anche in campo internazionale site nel mio comune, è stato possibile ottenere un incontro con un rappresentante della Telecom: durante tale incontro, è stata espressa da parte degli amministratori delle due ditte la volontà di accollarsi per intero le spese di costruzione delle centraline di ripetizione del segnale, la cui assenza era stata fino a quel momento indicata come motivo dell'impossibilità di fornitura dell'ADSL.

Dinanzi a tale offerta il rappresentante di Telecom ha svelato l'incredibile retroscena: come molti sanno, il segnale ADSL e quello analogico viaggiano in contemporanea sullo stesso cavo, ma a frequenze diverse. Su uno stesso cavo, quindi, sono disponibili due "bande" di segnale, di cui una viene occupata dal normale traffico telefonico ed una riservata alle connessioni ADSL. Quello che pochi sanno è che la singola "banda" di ogni cavo copre fino a 700 numeri telefonici. A detta del rappresentante di Telecom, nel mio comune, quando è stata superata la soglia dei 700 numeri la Telecom, per risparmiare, anziché installare un secondo cavo, ha preferito codificare i successivi numeri a più alta frequenza, facendoli viaggiare sul medesimo cavo.

In parole povere, l'ADSL non c'è (e non ci può essere) per il semplice fatto che la Telecom ha occupato entrambe le "bande" per il normale traffico telefonico. Questo significa che, ovviamente, anche le altre compagnie (Tiscali, Infostrada, ecc) non possono a loro volta offrire il servizio, per il semplice fatto che la Telecom non può affittare la "banda" preposta all'ADSL. La stessa situazione è poi risultata anche in molti altri comuni della provincia.


In conclusione, trovo ridicolo (ed anche offensivo) che nel 2006, quando ormai in buona parte dell'Italia si sta diffondendo la fibra ottica, interi paesi siano costretti a viaggiare a 56k (o al massimo a 128k con l'ISDN) per colpa di una vergognosa "scelta tecnica" (così l'ha chiamata il sopraccitato rappresentante Telecom) della nostra benemerita compagnia ex nazionale di telefonia, che occupa (suppongo legalmente purtroppo) entrambe le "bande" dei cavi telefonici, impedendo inoltre alle compagnie rivali di offrire i propri servizi, in spregio a qualsivoglia legge sulla libera concorrenza, ma soprattutto alle esigenze dei cittadini e delle ditte.
Grazie dell'attenzione.” R.C.

martedì 18 aprile 2006

Photo Gallery

____________________________

Carnevale Dajabón 2007
I colori della frontiera
Diversi gruppi carnevaleschi, rappresentanti dei diversi quartieri della cittá, hanno sfilato per le strade affolaltissime. La Rio de Janeiro della frontiera dominico-haitiana!

(click sulla foto per accedere alla gallery)



Window's gallery
Dajabón..Port-au-Prince..Dajabón
Una settimana di foto scattate dal finestrino del Tap-Tap o dell'autobus.
(riflessi e distorsioni da concedere al vetro del finestrino e al mio cellulare,
vero autore di questa gallery).
(click sulla foto per accedere alla gallery)



Illegal Portraits
Immagini dalle piantagioni di canna da zucchero della
Repubblica Dominicana

PARTE I (click sulla foto per far partire lo slideshow)



Espulsioni di massa
La più grande espulsione di massa dal 1991, realizzata dalle autorità dominicane contro gli immigrati haitiani e dominicani di origini haitiane. Dajabón-Wanament, 13-15 maggio 2005.
(click sulla foto per far partire lo slideshow)











.

giovedì 13 aprile 2006

.::Italia – Haiti: 1 a 1


[Foto "ritoccata" di Daniel Aguilar - Reuters]

Potendo fare un confronto tra le elezioni italiane del 9-10 aprile e quelle haitiane del 7 febbraio, credo proprio che sarebbe difficile dire quale delle due democrazie stia meglio di salute.
Mi sa che finirebbe in paritá questo derby politico Italia - Haiti, un derby che per me è finito con un magro 1 a 1, visto che, almeno, sono risultati eletti i due candidati che preferivo.

___________________________

In entrambi i casi, Prodi e Preval erano stati dati per vincitori giá dall’inizio degli scrutini, con margini di vantaggio anche del 5% rispetto agli avversari (che nel caso di Preval era rappresentato dalla soglia del 50% piú uno dei voti, per poter evitare il secondo turno).

Poi, sia in Italia che ad Haiti, i sondaggi erano andati progressivamente calando, mettendo in dubbio la certezza della vittoria dei due candidati favoriti. I sostenitori di Prodi e di Preval avevano gridato all'allarme, facendo appelli alla vigilanza per garantire la regolaritá dello scrutinio.

La suspence duró fino all’ultimo, quando ormai era certo il risultato del voto. Nel caso di Prodi, i leader del centro sinistra erano scesi in piazza in anticipo per cantare vittoria, mentre nel caso di Preval, in piazza erano scesi migliaia di haitiani per acclamare il nuovo presidente eletto. I due “Presidenti P”, Prodi e Preval, potevano finalmente dichiarare alla stampa la loro soddisfazione, mentre gli sconfitti approfittavano del loro turno per lanciare accuse di brogli e sabotaggi.

Sia in Italia che ad Haiti é stato chiesto il riconteggio dei voti e sono pure state trovate, in entrambi i casi, urne elettorali abbandonate per la strada. Fortunatamente, nel caso italiano, erano voti giá conteggiati, e la verifica delle schede elettorali contestate è ancora in corso, dimostrando peró, giá dai primi risultati, che sará impossibile cambiare l’esito finale delle elezioni.

Questo mi consola fino a un certo punto, perché resta comunque il fatto che queste elezioni mi hanno molto deluso: non solo per il risicato margine di vantaggio con cui ha vinto il centro-sinistra, ma proprio per il modo in cui si sono svolte le elezioni, e ancor prima la campagna elettorale.
La democrazia non é solo una questione di voti, bensí di comportamenti e atteggiamenti democratici. Credo che nessuno dei due schieramenti abbia dimostrato di possedere la necessaria dose di democrazia per distinguere nettamente il nostro paese dal “caso” haitiano. Similitudini a parte, che quantomeno sono state buffe coincidenze, mi sono sentito proprio deluso da quello che ho continuato a leggere sui giornali e le agenzie stampa on-line. Mi sentivo piú vicino ad Haiti che all’Italia, e non solo geograficamente.

In poche parole, mi sono sentito contento di essere un “italiano all’estero”. E non solo per l’orgoglio di essere stato, anche con il mio voto, uno degli artefici della maggioranza al Senato, con quei 4 senatori eletti nella circoscrizione estero con il centro-sinistra. Il fatto é che sono stato contento, o forse meglio, sollevato di non essermi dovuto sorbire mesi di campagna elettorale e lo saró ancor di piú adesso, perché non dovró assistere al “dopo elezioni”, con un Berlusconi straripante di “coglionate” e un Prodi alle prese con i “tempi lunghi” dell’investitura e gli inciuci che si faranno a porte chiuse dentro la colazione. Insomma: “l’Italia agli italiani”, quelli dentro al confine nazionale. Io, per il momento, me ne rimango fuori.

E non pensiate che sia una maniera di lavarsi le mani: mi ero iscritto all’AIRE (Albo Italiani Residenti all’Estero) con 5 mesi di anticipo sulle elezioni, proprio per non perdere quel diritto al voto che per la prima volta nella storia repubblicana veniva concesso anche a noi emigranti. Continueró a fare il mio dovere di buon cittadino, ma credo di aver bisogno ancora di qualche altro anno di gavetta qui, nel cosiddetto “terzo mondo”, prima di poter ritornare in patria. Insomma, almeno fino a quando non impareró a vedere l’Italia come un paese in via di sviluppo dove andare a svolgere un progetto umanitario. E forse non saranno poi necessari tanti anni di attesa...

A proposito, mi dimenticavo di sottolineare che Prodi riceverá l’incarico di formare il suo governo probabilmente solo a metá maggio. Il suo collega Preval lo fará il 19 dello stesso mese: magari, se si metteranno d’accordo, festeggeranno insieme anche questa bella coincidenza!

lunedì 20 marzo 2006

.::Piú passano gli anni e piú mi sembra che il mondo ci stia sfuggendo dalle mani!


Sono già passati tre anni dall'inizio della guerra in Iraq e non me ne sono neppure accorto.
Sará perché dal 19 marzo del 2003 ho cambiato tre volte lavoro, casa, paese e continente... e forse non ho avuto tempo per riflettere.
O forse non ho fatto nulla per trovarlo.

Quando vedo certe foto, mi chiedo se veramente ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità per evitare questa guerra (e le tante altre che sono attualmente in corso): ovviamente la risposta è un colpevole ¡NO!.

Robert Fisk, del The Indipendent, aveva scritto: "Se i media mainstream pubblicassero le foto della vera guerra, come le ho viste io, nessuno sosterrebbe questa guerra".

Quelle foto le avevo viste sul sito ComeDonChisciotte.org e mi avevano fatto quasi piangere... poi nei giorni scorsi il sito era stato oscurato, e il pensiero è corso subito alla censura. Fortunatamente oggi l'ho rivisto on-line, e così ho deciso di pubblicare il link a quelle immagini, prima che ci ripensino.
Guardatele anche voi, e magari dite la vostra.

ATTENZIONE: FOTO ESTREMAMENTE CRUDE


Gallerie fotografiche:

LA VERA FACCIA DELLA "GUERRA AL TERRORE"
GLI SQUADRONI DELLA MORTE E LA POLIZIA IRACHENA




giovedì 16 febbraio 2006

.::Prezidan !


[foto: ©Shannon Stapleton/REUTERS]

Finalmente! Stamattina l'annuncio della vittoria di Preval ha rincuorato tutti: in ufficio si è subito diffuso un senso di contentezza generale e tutti gli amici haitiani hanno avuto la loro buona dose di "pacche sulle spalle". Sebbene non tutti qui abbiano votato per Preval (molti si dichiarano apertamente sostenitori di Guy Philippe, l'ex-golpista del 2004), sanno benissimo che il risultato delle elezioni è un buonissimo auspicio per il futuro del paese.
Chiunque abbia cercato di truccare le elezioni alla fine non c'è riuscito: la vittoria al primo turno di Renè Preval è la garanzia più grande per la stabilità politica di Haiti.

Con un partito dal nome Lespwa (speranza), Preval dovrà ora rimboccarsi le maniche per ridare la speranza agli haitiani, soprattutto ai giovani.

Ritornando al giornalismo vero, oggi l'omaggio ritorna all'agenzia MISNA e ai quattri lanci che mi hanno dato il "buongiorno" quando sono arrivato in ufficio stamattina:


10.01
ELEZIONI: PRÉVAL DICHIARATO VINCITORE


René Préval ha vinto le elezioni presidenziali del 7 febbraio con il 51,15% dei voti: lo hanno riferito poco fa fonti del governo ‘ad interim’ haitiano e del Consiglio elettorale provvisorio (Cep). [FB]


10.08
ELEZIONI: PRÉVAL DICHIARATO VINCITORE/2

Abbiamo trovato una soluzione al problema. Ci sentiamo estremamente soddisfatti di aver liberato il paese da una situazione davvero difficile”: lo ha detto Max Mathurin, presidente del Consiglio elettorale provvisorio (Cep) riferendosi all’accordo raggiunto nella notte con il governo provvisorio di Port-au-Prince per decretare la vittoria al primo turno di René Préval. “René García Préval è accreditato del 51,15% dei suffragi sulla base del 96% delle schede scrutinate ed è proclamato vincitore" ha aggiunto Mathurin. “Riconosciamo la decisione finale del Consiglio e salutiamo con favore l’elezione del signor René Préval come presidente di Haiti”, ha riferito il primo ministro ‘ad interim’ Gerard Latortue in un’intervista telefonica all’Associated Press. Secondo fonti di stampa internazionali, nonostante siano ancora le prime ore del mattino, numerose persone sarebbero già scese in strada nella capitale per festeggiare. [FB]

12.57
ELEZIONI: PRÉVAL DICHIARATO VINCITORE /3

Considerando che il decreto elettorale de 2005 dispone che le schede in bianco sono voti validi, il Consiglio elettorale provvisorio (Cep) ha deciso di ridistribuirle proporzionalmente ai suffragi espressi a favore dei candidati nella compilazione dei risultati delle elezioni del 7 febbraio 2006”: è il testo del documento del Cep che decreta la vittoria al primo turno di René Préval, letto nella notte alla televisione nazionale haitiana dal responsabile dell’organismo Max Mathurin. Nella risoluzione, firmata da otto dei nove consiglieri del Cep, si precisa inoltre: “Tenendo conto che le schede restanti non potranno influire sui risultati definitivi, il signor René García Préval, accreditato del 51,15% dei voti col 96% delle schede scrutinate è dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali”.


La decisione, raggiunta dopo un incontro d’urgenza tra il governo ‘ad interim’ e le autorità elettorali, mette così fine a giorni di incertezza contrassegnati da proteste e accuse di “frodi ed errori grossolani” pronunciate dallo stesso Préval e dai suoi sostenitori a cui è seguito il rinvenimento in una discarica pubblica di urne contenenti centinaia di schede a suo favore. Era stato Marco Aurelio García, consigliere per gli Affari internazionali del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula, a proporre che fosse trovata una formula che, “rispettando la legalità”, portasse alla vittoria di Préval.

Prima che lo scrutinio venisse bloccato dalle proteste, con lo spoglio del 90,02% delle schede Préval - del partito ‘Lespwa’ (Speranza) – era in testa con il 48,76% dei suffragi contro l’11,83% di Leslie François Manigat, del ‘Rassemblement des Démocrates Nationalistes et Progessistes’ (Rdnp); quest’ultimo, tuttavia, aveva ripetutamente affermato di non voler rinunciare al ballottaggio del 19 marzo. [FB]


17.09
ELEZIONI, PRÉVAL: CALMA E FESTEGGIAMENTI CONTENUTI A PORT-AU-PRINCE / 4

Nelle strade della capitale Port-au-Prince ci sono ancora “cortei di persone che festeggiano, ma in clima di assoluta calma, senza incidenti di rilievo da segnalare”: lo ha appena detto telefonicamente alla MISNA una fonte locale, raccontando che “la notizia dell’elezione di Préval alla presidenza della Repubblica è stata data dalla radio questa notte intorno alle 3:00 ora locale. Non c’era quasi nessuno per strada ma, evidentemente, in molti devono aver dormito con un orecchio attaccato alla radio perché questa mattina alle 5:00 c’erano già migliaia di sostenitori di Préval per le strade a festeggiare”.


La notizia era nell’aria, viste anche le recenti affermazioni di esponenti del governo brasiliano, sebbene rimangano molti dubbi sulla procedura seguita per proclamare la vittoria di Préval: “Da due o tre giorni tutti aspettavano che accadesse qualcosa che andasse in questa direzione. In effetti, con il sistema della redistribuzione proporzionale delle schede bianche ai candidati, Préval ha raggiunto il 51,15% dei voti, ma non va dimenticato che, tra le schede bruciate e quelle non scrutinate (queste ultime rappresentano circa il 4% del totale), rimane un buco nero del 5-8% sul quale però nessuno andrà mai a indagare.

D’altronde, anche gli altri candidati avevano ben chiara la necessità di uscire dalla situazione di stallo. Pare, infatti, che nessuno abbia protestato per la decisione di proclamare la vittoria di Préval” ha concluso la fonte della MISNA, facendo notare un particolare: “Da un paio di settimane non solo è cessata la violenza tra gang, persino a Cité Soleil, il più popolare e violento dei quartieri di Port-au-Prince, ma si sono praticamente anche azzerati i rapimenti, a dimostrazione di una sorta di patto non scritto che, con la vittoria di Préval, le parti sembrano intenzionate a continuare a rispettare”. [LL]




mercoledì 15 febbraio 2006

.::Se ci rimandassero Ettore Mò...


Si accendono le proteste a Port-au-Prince dopo la diffusione delle immagini delle urne buttate nella spazzatura, a conferma delle accuse dei gravi brogli elettorali.

Era il maggio del 2005 quando Ettore e Luigi Baldelli erano stati inviati dal Corriere della Sera per fare un reportage sulla condizione dell’isola, di Haiti e degli haitiani immigrati in Repubblica Dominicana.
A poco meno di un anno, Haiti si ritrova in un momento difficilissimo, con un presidente “eletto” e non ancora proclamato e una rivolta popolare quasi sicura se non si arriverá ad una soluzione che convinca i sostenitori di Preval.
Eppure, sarà una casualità ma i due giornali piú venduti d’Italia – Corriere della Sera e La Repubblica non hanno ancora pubblicato un solo trafiletto sulla situazione haitiana. Un caso, piú che una casualitá!


________________________

E pensare che oggi mi ha chiamato Jonathan Katz, il corrispondente della Associated Press, tartassandomi di domande sulla situazione della frontiera, dei possibili disordini sul versante haitiano e le eventuali ripercussioni sulla Repubblica Dominicana. Dopo vari tentativi di convincerlo che a Dajabón non c’era niente di cui preoccuparsi dal punto di vista della sicurezza, aveva concluso chiedendomi: «perché allora tutti i giornali dominicani parlano di una atmosfera di “calma tensa” sulla frontiera?». Non so se gli sará piaciuta la risposta: «pure tu farai come tutti gli altri giornalisti: se scrivi che a Dajabón non sta succedendo nulla, il pezzo non lo vendi. Se dici che la calma è “tensa”, allora il pezzo te lo pubblicano dappertutto. E mia madre, che crede piú ai giornali che a quello che le dico io, alla fine si preoccuperà per niente!».

Per fortuna, in Italia c’è sempre il Manifesto, che ha deciso di pubblicare due articoli:

Préval scippato. Haiti in rivolta


Un giorno comune nella Città del Sole, l'inferno dei vivi
(nel quale ho scoperto che un chirurgo padovano, Carlo Belloni, lavora in un centro medico della ong Médicins sans Frontières)



Ma il miglior quadro della situazione haitiana lo si trova nel sito dell’agenzia di stampa statale cubana, che ripropongo integralmente, in attesa di notizie migliori.

Preval ha denunciato brogli

nel processo elettorale di Haiti


Fonte: Agenzia
Granma

Porto Principe, 14 febbraio. – René Preval, candidato favorito alla presidenza di Haiti per il Movimento La Speranza, ha denunciato una frode massiccia nelle elezioni del 7 febbraio.
“Siamo convinti che frodi massicce abbiano infangato il processo elettorale”, ha detto l’ex presidente in una conferenza stampa offerta in questa capitale, ha reso noto PL.

Provenienti dai sobborghi della capitale, migliaia di persone si sono concentrate dal primo mattino nel rione Delmas per esigere che Preval venga proclamato presidente.
La convalida delle schede scrutinate continua ad essere ferma al 90,02% con il 48,76% a favore di Preval, secondo le cifre date dal Consiglio Elettorale Provvisorio.


Migliaia di schede votate nelle urne buttate nella spazzatura sono state mostrate martedì in immagini diffuse da un canale televisivo haitiano, cosa che conferma le denunce di frodi (nella foto, un ragazzo osserva due schede elettorali semi-bruciate, di cui una con l'espressione di voto per il candidato numero 1, René Preval).

Il canale Telmax ha cominciato ad esibire queste immagini senza nessuna colonna sonora nè commenti nelle prime ore della sera e poi ha trasmesso la testimonianza dei presunti testimoni, che hanno detto di aver visto come queste urne venivano buttate nella spazzatura il giorno stesso delle elezioni.

La maggior parte delle schede gettate erano votate a favore del candidato presidenziale del partito La Speranza, René Preval.

Il portavoce della Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione di Haiti (MINUSTAH), David Wimhurst, ha ammesso in dichiarazioni all’agenzia EFE, dopo la diffusione di queste immagini, che nella giornata delle elezioni almeno in 9 centri di votazione di differenti zone del paese è stato possibile lo smarrimento di molte urne.

In serata intanto centinaia di persone hanno eretto barricate in diversi punti della capitale, dove si sono ascoltate parole d’ordine contro i brogli.
Preval ha chiamato i suoi sostenitori a continuare le dimostrazioni, ma senza atti di violenza.

La Presidenza ha reso noto che membri del partito di Preval e funzionari elettorali e del Governo compongono una commissione incaricata di investigare sulle denunce del candidato presidenziale e dei suoi sostenitori, secondo AFP.


domenica 12 febbraio 2006

.::Quant'è bello sbagliarsi!


Sostenitori dell'ex-presidente René Preval manifestano per le strade di Port-au-Prince perché venga dichiarato ufficialmente vincitore delle elezioni.

Anch'io avevo fatto come un po' tutti da queste parti: di Haiti é meglio parlar male se si vuole finire in prima pagina. Peró nell'intervista alla Misna avevo detto quello che sentivo e quello che un po' tutti, onestamente, ci aspettavamo: elezioni nel caos, violenza e guerriglia...
I pochi commenti che facevamo attraverso la frontiera tra Dajabón e Wanament erano di apprensione e sfiducia: le notti cariche di tensione delle settimane precedenti ci avevano fatto temere il peggio.

____________________________________

E invece il peggio non c'è stato: anzi, é successo quello che davvero nessuno si aspettava. Un'affluenza alle urne che si aggira intorno al 65% degli aventi diritto al voto (ricordando che non tutti gli haitiani sono riusciti ad ottenere una carta elettorale) e un bilancio delle vittime che è di "soli" 4 morti e 40 feriti.


Mi ha fatto ridere (anche se a denti stretti) la battuta di un amico giornalista dominicano: "e chi se l'aspettava da Haiti una cosa cosí? Qui da noi, durante le elezioni presidenziali del 2004, non so se ci sono stati 10 o 15 morti, tutti d'arma da fuoco! E per fortuna che sull'isola eravamo noi il solo paese democratico!".


Tutto è andato bene, almeno finora: non voglio certo ricadere nello stesso errore di pronostico, ma adesso siamo solo al conteggio dei voti, e le cose possono cambiare. Renè Preval, ex presidente dello stesso partito di Aristide, è vicino al 50% dei suffragi, e non si sa ancora se riuscirá ad evitare il secondo turno, programmato per il prossimo, lontanissimo 19 marzo. È probabile che i gruppi armati (sostenitori di Guy Philippe e altri...) stiano aspettando proprio il secondo turno per far sentire il loro peso. Ma se il Consiglio elettorale provvisorio dovesse proclamare Preval come presidente al primo turno, potrebbe benissimo precipitare la situazione. Non ci spiegheremmo altrimenti gli scontri a fuoco che hanno preceduto tutti i comizi elettorali di Preval e le intimidazioni inflitte alla popolazione fino a poche ore prima del voto.

È possibile però che un margine di vantaggio così grande (Leslie Manigat, il secondo candidato, è rimasto fermo all'11 %) affievolisca le speranze dei golpisti e dei ribelli: René Preval avrebbe dalla sua la metá della popolazione. Tre settimane fa, in un ristorante* di Dajabón avevo conversato con una ragazza haitiana, studentessa di medicina in Repubblica Dominicana. Per lei Preval è l'unico candidato possibile per Haiti: "lui non è mai stato povero, e gli haitiani non si fiderebbero mai di un presidente che sia stato povero. Non è mai stato nemmeno ricchissimo, ma se fosse stato povero non lo voterebbe nessuno".

La povertà è la vera "bestia nera" di questo popolo "nero". Chissà sia arrivata veramente l'ora per gli haitiani di dimenticarsi cosa voglia dire questa parola.


* Los Platanitos, il comedor popular dove mangio tutti i giorni pollo e banane fritte inondate di ketchup, brrr!





martedì 7 febbraio 2006

.::Haiti al voto. Haitiani nel vuoto...


La frontiera dominico-haitiana è chiusa da ieri, ma la gente di Wanament ha bisogno di cibo anche durante le elezioni.

Ho taciuto per mesi, omettendo cose che era necessario non dire... e altre che pian piano troveró il modo per scriverle. Conto di ritornare a scrivere un po’ in italiano, a fare un po’ di foto, a prendermi un po’ di tempo per me. Insomma, ci spero...
Intanto, oggi, mentre il popolo haitiano celebra il primo turno delle sue incerte elezioni presidenziali, trovo un momento per ringraziare Francesca Belloni dell’agenzia di stampa MISNA, che mi ha stanato dal mio covo di frontiera e mi ha fatto rispolverare il dizionario italiano-spagnolo (o meglio, spagnolo italiano!!!) per scrivere il pezzo che pubblico qui sotto. Fa parte di uno speciale su Haití e i due anni di uscita di scena dell’ex presidente Aristide. Anni lunghi, sofferti, incerti... Insomma, bisognerà sperare...



Tra emigrazione, povertà e violenza...


Il paese al voto

di Francesca Belloni
Fonte: Agenzia Misna


“Purtroppo la realtà haitiana è sempre più desolante. A quasi 15 anni dal primo colpo di stato che ha fatto cadere l’ex-presidente Jean-Bertrand Aristide, la popolazione ha sempre meno fiducia nella ripresa e nella rinascita della democrazia. Se lo stato è inesistente e l'economia è in costante calo, ai giovani non rimane che scegliere tra la povertà e la speranza oltre la frontiera”: così Gianni dal Mas, consulente per la comunicazione e i diritti umani di ‘Solidaridad Fronteriza’ e del Servizio gesuita per i rifugiati e i migranti di Dajabón, cittadina dominicana alla frontiera, descrive alla MISNA lo scenario attuale nella parte orientale di Hispaniola, ormai alla vigilia delle prime elezioni che dovrebbero, almeno sulla carta, concludere la transizione iniziata nel febbraio 2004 dopo l’abbandono di Aristide.

“Nemmeno la presenza internazionale è riuscita a infondere una speranza concreta in questo popolo” prosegue Dal Mas: “Il governo provvisorio è visto come una imposizione smaccatamente statunitense, mentre i ‘caschi blu’ della Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti (Minustah) riescono con difficoltà a mantenere l'ordine pubblico, finendo per essere loro stessi i bersagli del malcontento generale. Sono in molti a ricordare un solo e significativo dato: durante il primo intervento dell’Onu, che amministrò il paese tra il 1994 e il 1998, non una sola strada, rete fognaria o acquedotto è stato costruito per migliorare le collassate infrastrutture haitiane. Cosa potevano aspettarsi 6 anni dopo?”.

La situazione economica e l’instabilità politica continuano a spingere gli haitiani a varcare la frontiera con la Repubblica Dominicana per cercare lavoro, anche a costo della vita. “Gli immigrati haitiani che arrivano qui sono sicuri di trovare un lavoro: settori come l'agricoltura o l'edilizia sono ormai un loro monopolio, perché si adattano a vivere nelle baracche erette in mezzo alle piantagioni o nelle fondamenta dei grandi palazzi in costruzione a Santo Domingo” spiega ancora il nostro interlocutore. “I dominicani – prosegue - pur con un 63% di tasso di povertà, non vogliono più abbassarsi a questo tipo di lavori e, con il costo della vita costantemente al rialzo, non se lo potrebbero nemmeno permettere: lavorare per ricevere il salario minimo (circa 130 pesos = 4 dollari al giorno) è diventato un lusso accessibile solo ai giornalieri haitiani disposti a tutto pur di non ritornarsene nel loro paese a mani vuote.

Ciononostante, se il padrone si ritrova alle strette, non deve far altro che chiamare l'ufficio immigrazione e chiedere il rimpatrio degli ‘illegali’. Caricati su camion dell'esercito, vengono ‘scaricati’ alla frontiera e ‘restituiti’ ad Haiti, senza neanche l'ombra dell'ultimo salario”. Nonostante il fenomeno sia molto diffuso non esistono al momento dati certi sul numero degli ‘indocumentados’ che varcano il confine.

“Il flusso migratorio tra i due paesi resta l'incognita più grande di tutto il dilemma. Al Ministero degli esteri dominicano dicono di non conoscere il numero dei visti concessi annualmente a cittadini della vicina Repubblica di Haiti, e nemmeno quale sia il prezzo di tale visto: se è vero che al massimo si dovrebbe pagare circa 200 US$ per un visto annuale, ogni consolato ha però piena libertà di movimento, dato che una percentuale del prezzo richiesto spetta di diritto al Console in funzione.

E se questo è quanto avviene nella legalità, nell'illegalità le cose sono ancor più ‘misteriose’. Nessuno è riuscito finora a misurare il numero di immigrati irregolari presenti in territorio dominicano, ma le stime parlano di una ‘minoranza’ haitiana che va dai 400.000 ai 3 milioni di adulti, sugli 8,5 milioni di abitanti della Repubblica Dominicana. Il governo ha annunciato da diversi mesi l'inizio di un censimento degli ‘irregolari’, un qualcosa che sa di burla per i termini stessi in cui è stato annunciato. E nel frattempo, sono stati oltre 3.000 gli immigrati haitiani irregolari rimpatriati nel solo mese di gennaio di quest’anno”.

Nonostante questi elementi il flusso migratorio non sembra affatto diminuire, neanche dopo il recente caso dei 25 immigrati asfissiati all'interno di un camion con il quale cercavano di introdursi illegalmente in Repubblica Dominicana.
Il governo dominicano – aggiunge il consulente per le comunicazioni di ‘Soldaridad Fronteriza’ - ha subito aperto un'inchiesta e ha militarizzato la frontiera, con l'unico risultato che i trafficanti sono stati costretti ad alzare il prezzo del ‘biglietto’ di viaggio per i clandestini, costretti a pagare di più per poter far chiudere un occhio ai militari dei posto di controllo. Oppure, come mi è capitato di ascoltare l'altra sera in un bar di Dajabón, bisogna trovare percorsi alternativi: un trafficante di haitiani raccontava di essere riuscito a sfuggire ai soldati che gli chiedevano più soldi del previsto, passando con il suo furgoncino carico di ‘morenos’ attraverso una stradina dove poteva transitare a mala pena una moto”.


Tra disillusione e aspettative, martedì prossimo alle urne sono attesi tre milioni e mezzo di votanti chiamati a scegliere tra 33 candidati alla presidenza e 1.300 al Parlamento (30 seggi in palio al Senato e 99 alla Camera dei Deputati). “Gli haitiani sono un popolo che ha sofferto molto per colpa della politica ma che nonostante questo si infervora ancora ad ogni discussione su chi sarà il nuovo presidente. Le speranze e le aspettative ci sono: c'è chi sta dalla parte del favorito perchè spera di poter ottenere un beneficio immediato, e chi sostiene candidati che non saranno mai presidenti, ma che un qualsiasi colpo di stato potrebbe portare facilmente al potere.

Purtroppo la sensazione che le elezioni non si svolgeranno tranquillamente è confermata dagli scontri a fuoco che si sono registrati nella vicina città haitiana di Ouanaminthe, alla frontiera con Dajabón. La visita del candidato attualmente favorito, René Préval, ha fatto scoppiare il caos, tanto che il nostro ufficio haitiano ha dovuto chiudere per paura dei saccheggi e delle rappresaglie”.

Gli ‘irregolari’ haitiani in Repubblica Dominicana avrebbero invece deciso in larga parte di non andare a votare. “Molti si erano già muniti della nuova ‘carta elettorale’, che per una vasta fetta di haitiani è stata l’occasione per ottenere dallo Stato il primo documento di identità ufficiale nella loro vita. Ma adesso, alla luce degli ultimi avvenimenti, il viaggio di andata ad Haiti è considerato troppo rischioso, nell'incertezza dei disordini che potrebbero scoppiare una volta terminato il conteggio dei risultati del primo turno. Così come è altrettanto pericoloso il viaggio di ritorno in Repubblica Dominicana, con una frontiera sempre più militarizzata e costosa da attraversare utilizzando le vie ‘informali’.

Chi vorrà correre il rischio lo farà per ricordare a se stesso e al mondo di essere cittadino della prima Repubblica nera indipendente del ‘Nuovo Mondo’, sempre che questo, dopo più di duecento anni di miseria, dittature e colpi di stato, voglia ancora dire qualcosa. E sono purtroppo in molti a dire che, nemmeno questa volta, Haiti sarà veramente libera di decidere il proprio futuro” conclude Dal Mas.
[FB]