martedì 7 febbraio 2006
.::Haiti al voto. Haitiani nel vuoto...
La frontiera dominico-haitiana è chiusa da ieri, ma la gente di Wanament ha bisogno di cibo anche durante le elezioni.
Ho taciuto per mesi, omettendo cose che era necessario non dire... e altre che pian piano troveró il modo per scriverle. Conto di ritornare a scrivere un po’ in italiano, a fare un po’ di foto, a prendermi un po’ di tempo per me. Insomma, ci spero...
Intanto, oggi, mentre il popolo haitiano celebra il primo turno delle sue incerte elezioni presidenziali, trovo un momento per ringraziare Francesca Belloni dell’agenzia di stampa MISNA, che mi ha stanato dal mio covo di frontiera e mi ha fatto rispolverare il dizionario italiano-spagnolo (o meglio, spagnolo italiano!!!) per scrivere il pezzo che pubblico qui sotto. Fa parte di uno speciale su Haití e i due anni di uscita di scena dell’ex presidente Aristide. Anni lunghi, sofferti, incerti... Insomma, bisognerà sperare...
Tra emigrazione, povertà e violenza...
Il paese al voto
di Francesca Belloni
Fonte: Agenzia Misna
“Purtroppo la realtà haitiana è sempre più desolante. A quasi 15 anni dal primo colpo di stato che ha fatto cadere l’ex-presidente Jean-Bertrand Aristide, la popolazione ha sempre meno fiducia nella ripresa e nella rinascita della democrazia. Se lo stato è inesistente e l'economia è in costante calo, ai giovani non rimane che scegliere tra la povertà e la speranza oltre la frontiera”: così Gianni dal Mas, consulente per la comunicazione e i diritti umani di ‘Solidaridad Fronteriza’ e del Servizio gesuita per i rifugiati e i migranti di Dajabón, cittadina dominicana alla frontiera, descrive alla MISNA lo scenario attuale nella parte orientale di Hispaniola, ormai alla vigilia delle prime elezioni che dovrebbero, almeno sulla carta, concludere la transizione iniziata nel febbraio 2004 dopo l’abbandono di Aristide.
“Nemmeno la presenza internazionale è riuscita a infondere una speranza concreta in questo popolo” prosegue Dal Mas: “Il governo provvisorio è visto come una imposizione smaccatamente statunitense, mentre i ‘caschi blu’ della Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti (Minustah) riescono con difficoltà a mantenere l'ordine pubblico, finendo per essere loro stessi i bersagli del malcontento generale. Sono in molti a ricordare un solo e significativo dato: durante il primo intervento dell’Onu, che amministrò il paese tra il 1994 e il 1998, non una sola strada, rete fognaria o acquedotto è stato costruito per migliorare le collassate infrastrutture haitiane. Cosa potevano aspettarsi 6 anni dopo?”.
La situazione economica e l’instabilità politica continuano a spingere gli haitiani a varcare la frontiera con la Repubblica Dominicana per cercare lavoro, anche a costo della vita. “Gli immigrati haitiani che arrivano qui sono sicuri di trovare un lavoro: settori come l'agricoltura o l'edilizia sono ormai un loro monopolio, perché si adattano a vivere nelle baracche erette in mezzo alle piantagioni o nelle fondamenta dei grandi palazzi in costruzione a Santo Domingo” spiega ancora il nostro interlocutore. “I dominicani – prosegue - pur con un 63% di tasso di povertà, non vogliono più abbassarsi a questo tipo di lavori e, con il costo della vita costantemente al rialzo, non se lo potrebbero nemmeno permettere: lavorare per ricevere il salario minimo (circa 130 pesos = 4 dollari al giorno) è diventato un lusso accessibile solo ai giornalieri haitiani disposti a tutto pur di non ritornarsene nel loro paese a mani vuote.
Ciononostante, se il padrone si ritrova alle strette, non deve far altro che chiamare l'ufficio immigrazione e chiedere il rimpatrio degli ‘illegali’. Caricati su camion dell'esercito, vengono ‘scaricati’ alla frontiera e ‘restituiti’ ad Haiti, senza neanche l'ombra dell'ultimo salario”. Nonostante il fenomeno sia molto diffuso non esistono al momento dati certi sul numero degli ‘indocumentados’ che varcano il confine.
“Il flusso migratorio tra i due paesi resta l'incognita più grande di tutto il dilemma. Al Ministero degli esteri dominicano dicono di non conoscere il numero dei visti concessi annualmente a cittadini della vicina Repubblica di Haiti, e nemmeno quale sia il prezzo di tale visto: se è vero che al massimo si dovrebbe pagare circa 200 US$ per un visto annuale, ogni consolato ha però piena libertà di movimento, dato che una percentuale del prezzo richiesto spetta di diritto al Console in funzione.
E se questo è quanto avviene nella legalità, nell'illegalità le cose sono ancor più ‘misteriose’. Nessuno è riuscito finora a misurare il numero di immigrati irregolari presenti in territorio dominicano, ma le stime parlano di una ‘minoranza’ haitiana che va dai 400.000 ai 3 milioni di adulti, sugli 8,5 milioni di abitanti della Repubblica Dominicana. Il governo ha annunciato da diversi mesi l'inizio di un censimento degli ‘irregolari’, un qualcosa che sa di burla per i termini stessi in cui è stato annunciato. E nel frattempo, sono stati oltre 3.000 gli immigrati haitiani irregolari rimpatriati nel solo mese di gennaio di quest’anno”.
Nonostante questi elementi il flusso migratorio non sembra affatto diminuire, neanche dopo il recente caso dei 25 immigrati asfissiati all'interno di un camion con il quale cercavano di introdursi illegalmente in Repubblica Dominicana.
“Il governo dominicano – aggiunge il consulente per le comunicazioni di ‘Soldaridad Fronteriza’ - ha subito aperto un'inchiesta e ha militarizzato la frontiera, con l'unico risultato che i trafficanti sono stati costretti ad alzare il prezzo del ‘biglietto’ di viaggio per i clandestini, costretti a pagare di più per poter far chiudere un occhio ai militari dei posto di controllo. Oppure, come mi è capitato di ascoltare l'altra sera in un bar di Dajabón, bisogna trovare percorsi alternativi: un trafficante di haitiani raccontava di essere riuscito a sfuggire ai soldati che gli chiedevano più soldi del previsto, passando con il suo furgoncino carico di ‘morenos’ attraverso una stradina dove poteva transitare a mala pena una moto”.
Tra disillusione e aspettative, martedì prossimo alle urne sono attesi tre milioni e mezzo di votanti chiamati a scegliere tra 33 candidati alla presidenza e 1.300 al Parlamento (30 seggi in palio al Senato e 99 alla Camera dei Deputati). “Gli haitiani sono un popolo che ha sofferto molto per colpa della politica ma che nonostante questo si infervora ancora ad ogni discussione su chi sarà il nuovo presidente. Le speranze e le aspettative ci sono: c'è chi sta dalla parte del favorito perchè spera di poter ottenere un beneficio immediato, e chi sostiene candidati che non saranno mai presidenti, ma che un qualsiasi colpo di stato potrebbe portare facilmente al potere.
Purtroppo la sensazione che le elezioni non si svolgeranno tranquillamente è confermata dagli scontri a fuoco che si sono registrati nella vicina città haitiana di Ouanaminthe, alla frontiera con Dajabón. La visita del candidato attualmente favorito, René Préval, ha fatto scoppiare il caos, tanto che il nostro ufficio haitiano ha dovuto chiudere per paura dei saccheggi e delle rappresaglie”.
Gli ‘irregolari’ haitiani in Repubblica Dominicana avrebbero invece deciso in larga parte di non andare a votare. “Molti si erano già muniti della nuova ‘carta elettorale’, che per una vasta fetta di haitiani è stata l’occasione per ottenere dallo Stato il primo documento di identità ufficiale nella loro vita. Ma adesso, alla luce degli ultimi avvenimenti, il viaggio di andata ad Haiti è considerato troppo rischioso, nell'incertezza dei disordini che potrebbero scoppiare una volta terminato il conteggio dei risultati del primo turno. Così come è altrettanto pericoloso il viaggio di ritorno in Repubblica Dominicana, con una frontiera sempre più militarizzata e costosa da attraversare utilizzando le vie ‘informali’.
Chi vorrà correre il rischio lo farà per ricordare a se stesso e al mondo di essere cittadino della prima Repubblica nera indipendente del ‘Nuovo Mondo’, sempre che questo, dopo più di duecento anni di miseria, dittature e colpi di stato, voglia ancora dire qualcosa. E sono purtroppo in molti a dire che, nemmeno questa volta, Haiti sarà veramente libera di decidere il proprio futuro” conclude Dal Mas.
[FB]
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