giovedì 23 giugno 2005

.::Repubblica Dominicana e Haiti: tra espulsioni di massa e diritti umani


13-15 maggio 2005: vengono espulsi in massa oltre 2000 haitiani

Se in Italia vedete passare tre camion pieni zeppi di persone, donne e bambini con gli occhi sbarrati, vestiti alla meno peggio e senza niente nelle mani, immaginereste che ci sia qualcosa che non va. Se invece vi trovate in Repubblica Dominicana, nelle vicinanze della frontiera con Haiti, ne sareste certi: quei tre camion sono il segnale che stanno di nuovo rimpatriando in massa gli haitiani.
Ci sono momenti in cui un haitiano che sta camminando per strada o se ne sta chiuso in casa, che abbia un permesso legale di soggiorno o sia “clandestino”, viene preso e fatto salire con la forza insieme a tanti suoi connazionali su un camion dell’esercito e spedito al primo valico di frontiera per essere rimpatriato ad Haiti, senza tanti giri di parole e tanto meno un decreto formale di espulsione.
Questa volta, il 13, 14 e 15 maggio del 2005, quei tre camion sono diventati 4, 5, 10, 20: in tre giorni sono state espulse dal valico di Dajabón, nella zona nord dell’isola, piú di 2000 persone, haitiani e dominicani di origine haitiana.

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In quest’isola bizzarra, l’unica al mondo divisa tra due stati indipendenti e nemici da quasi due secoli, queste cose sono all’ordine del giorno: tra la Repubblica Dominicana, paradiso dei Caraibi, e Haiti, il paese piú povero dell’emisfero occidentale, i rimpatri di massa sono diventati una prassi che ogni buon governo dominicano deve realizzare almeno una volta nella legislatura, per tutta una serie di “buone ragioni”.

Questa volta, la buona ragione “apparente” è stato l’ennesimo fatto di sangue imputato a un haitiano: la morte di una dominicana durante un tentato furto nella localitá di Hatillo Palma, nella zona nord dell’isola, ha fatto scattare la furia dei concittadini, che si sono subito scagliati contro gli haitiani residenti nella zona, per lo piú lavoratori immigrati e dominicani di origine haitiana. Al grido “Non piú un solo haitiano ad Hatillo Palma”, la direzione generale per l’immigrazione, con l’aiuto logistico e repressivo dell’esercito, ha iniziato un’operazione militare indiscriminata che ha visto come vittime vecchi, donne e bambini, insieme a lavoratori clandestini e non.

In soli tre giorni, sul confine dominico-haitiano di Dajabón (RD) – Wanament (Haiti), il Servizio gesuita per i rifugiati e i migranti (SJRM) ha prestato aiuto a 1598 persone attraverso l’ong Solidaridad Fronteriza, ma le persone espulse massivamente dalle autoritá dominicane sono state oltre 2000.



Se in un primo momento si era parlato di un’operazione a difesa degli stranieri dalle possibili rappresaglie della popolazione di Hatillo Palma per l’omicidio della dominicana Maritza Nuñez, i rastrellamenti effettuati in tutta la provincia avevano fatto poi capire la vera dimensione del problema. I militari si introducevano nelle case degli immigrati e dei dominicani di origine haitiana alle 5 del mattino, abbattendo le porte con i fucili alla mano: venivano svegliati e caricati a forza nei camion, senza dare loro il tempo di raccogliere le proprie cose, a volte scalzi e senza prestare attenzione a chi presentava i documenti legali che gli davano il diritto di rimanere in territorio dominicano. In quei tre giorni è stata violata una serie infinita di normative internazionali in tema di rimpatrio e di tutela dei diritti umani del migrante, oltre ad uno specifico accordo siglato nel 1999 tra i due stati dell’isola per regolamentare le espulsioni degli “irregolari”. L’ultima grande espulsione di massa era avvenuta proprio nel 1999.

Pur rispettando il diritto di ogni stato di espellere gli immigrati “clandestini” presenti sul proprio territorio, non potevamo accettare che ció avvenisse in aperta violazione dei diritti umani piú fondamentali: alla frontiera venivano portate famiglie intere che avevano dovuto lasciare dietro di sé tutto il lavoro di una vita; madri separate dai propri figli; figli separati dai propri genitori; lavoratori che non avevano avuto il tempo di ricevere l’ultimo stipendio prima di essere espulsi; vecchi che avevano lasciato i risparmi di trent’anni sotto un materasso, diventato poi bottino degli sciacalli.

Immediatamente abbiamo denunciato a livello nazionale e internazionale l’operato illegittimo delle autoritá dominicane, mettendo il governo con le spalle al muro grazie a una dettagliata documentazione fotografica delle violazioni commesse. Il sito internet di Solidaridad Fronteriza è servito da cassa di risonanza mostrando il modo in cui si stavano realizzando le espulsioni: a quel punto nessun membro del governo poteva piú negare che si stessero rimpatriando bambini separati dalla famiglia o lavoratori con permesso di soggiorno o dominicani dalla pelle nera con i documenti alla mano.


Le tre copertine de El Caribe, il giornale piú venduto nella Repubblica Dominicana, con le foto fatte da Solidaridad Fronteriza

Grazie alla pressione esercitata dall’opinione pubblica, il governo é stato costretto ad interrompere l’operazione, ma la situazione, a piú di un mese dai fatti, è lontana dall’essere risolta.


La Storia.

La questione dominico-haitiana non è facile, né da spiegare né da risolvere. Gli attriti fra i due stati e fra i due popoli sono vecchi di secoli, da quando gli ex-schiavi africani che popolavano Haiti si sono ribellati al potere francese, diventando nel 1804 la prima repubblica nera libera al mondo.
Successivamente, avevano cercato di “liberare” la parte orientale dell’isola, allora occupata dalla Spagna. I dominicani la ricordano come una delle epoche piú crudeli: 22 anni di schiavitú sotto il controllo dei vicini haitiani.
Riconquistata l’indipendenza, ogni governo dominicano, “democratico” o dittatoriale che fosse, ha fomentato l’odio contro Haiti, e i vari dittatori haitiani hanno fatto lo stesso con i dominicani.
Cosí, per decenni, i rapporti sono stati essenzialmente dettati da interessi economici semi-occulti, i cui grandi beneficiari sono state le grandi aziende statali controllate dagli uomini forti di Santo Domingo e Port-au-Prince: Rafael Leonidas Trujillo in Repubblica Dominicana e la famiglia Duvalier ad Haiti.


Dalla canna da zucchero al caffè, dal settore turistico all’edilizia, i lavoratori migranti haitiani hanno occupato buona parte dei posti di lavoro dove la forza fisica e lo stipendio da fame siano le caratteristiche decisive. Si calcola che oggi, su un totale di 9 milioni di dominicani, ci siano quasi 900 mila haitiani e loro discendenti.


Il Problema

Cosa farne di tutte queste migliaia di haitiani che vivono illegalmente in Repubblica Dominicana da piú di dieci, venti o addirittura quarant’anni? E cosa farne dei loro figli, che l’articolo 11 della Costituzione dominicana riconosce come cittadini dominicani per il solo fatto di essere nati nel territorio nazionale, mentre le autoritá continuano a negare loro atti di nascita, documenti e passaporti solo perché i loro genitori sono neri?

Il rimpatrio di massa messo in atto dal governo poteva davvero essere la soluzione a tutto questo? Il Servizio gesuita per i rifugiati crede che la Repubblica Dominicana stia manifestando una specie di “doppia morale”:



- da una parte, favorisce l’entrata della manodopera haitiana illegale e a basso costo, risorsa vitale per un’economia che si basa sull’esportazione delle banane, il cui prezzo internazionale è altamente sensibile;

- dall’altra, espelle in massa gli haitiani per motivi razziali, anche
se il dominicano, orgoglioso delle sue lontane origini spagnole, si rifiuta (ovviamente) di essere accusato di razzismo.


Sta di fatto che la maggior parte delle persone espulse tra il 13 e il 15 di maggio hanno già fatto ritorno al territorio dominicano ricorrendo a vie illegali, con la complicitá delle autoritá militari e civili preposte al controllo della frontiera con Haiti, le quali si arricchiscono grazie a questo continuo traffico di persone.
La piú grande espulsione di massa degli ultimi 5 anni non ha quindi risolto il “problema haitiano” in Repubblica Dominicana, e non lo farà finché non si stabilirá una politica migratoria chiara, che rispetti allo stesso tempo le necessitá produttive dell’economia nazionale e i diritti dei lavoratori migranti.

Finchè Haiti continuerà ad essere il paese piú povero della regione, ci sará sempre una pressione migratoria sulla frontiera con la Repubblica Dominicana, ma se le autoritá non daranno una risposta in tempi brevi, il rischio è che la popolazione prenda l’iniziativa sulla base di impulsi irrazionali: a 28 giorni di distanza dall’omicidio di Maritza Nuñez, due haitiani sono stati uccisi per rappresaglia nella notte tra il 5 e il 6 di giugno da un gruppo di dominicani, tra i quali era presente il cognato di Maritza. Il grido: “Non piú un solo haitiano ad Hatillo Palma” è diventato reale e la sua eco sta risuonando in molte altre comunitá dominicane: ad ogni fatto di sangue, ad ogni delitto commesso da ignoti, scatta la caccia all’haitiano.

Il paese intero sta chiedendo al governo che risolva la “questione haitiana”: a chi continua a chiedere il rimpatrio massivo di ogni illegale haitiano, rispondiamo che ció deve avvenire rispettando le leggi nazionali e internazionali in materia e soprattutto la dignità di ogni persona. Nessuna soluzione sommaria sará mai una soluzione vera.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

es hora de terminar con tanto odio k no deja nada bueno,nadie elije de k famiglia nacer ni donde,ninguna criatura deve ser injustamente maltrada.sencillamente ponganse al puesto de un aitiano y diganme si le gustaria ser tratados asi.es hora de demostrar un poco de humanida y respecto verso cada uno de ellos k encontremos en nuestro camino.se decosecha lo k se siembra no lo devemos olvidar.

Anonimo ha detto...

el haitiano trabaja dificilmente los vemos robando o en tantas malas fachendas como el dominicano.